A.A.A. - D.S.A. - Dislessia, un limite da superare

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lunedì 28 marzo 2011

L’ITALIA ED I DISABILI: COSA E’ CAMBIATO DAL 2003 (ANNO EUROPEO DELLE PERSONE CON DISABILITÀ) AD OGGI

Tratto dal S.U.N.A.S. a cura della Dott.ssa Antonella D'Ambrosio
Il 2003 ha rappresentato per le persone con disabilità un'occasione unica a livello nazionale, regionale e locale per  la definizione delle priorità politiche mirate ad incoraggiare azioni specifiche in favore dei disabili. Migliaia di manifestazioni, conferenze e dibattiti sono stati organizzati per promuovere i diritti delle persone con disabilità e la loro piena partecipazione alla vita sociale ed economica, nonché per fare opera di sensibilizzazione in merito alle barriere che queste persone  affrontano quotidianamente nella società. Oltre al recepimento della direttiva comunitaria, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in tema di occupazione e di condizioni di lavoro, sono state annunciate nuove misure politiche che ora sono in fase di attuazione negli Stati membri. A titolo d'esempio si può citare la Danimarca, che ha definito un piano d'azione sulla disabilità e ha predisposto un bilancio per creare da 800 a 1200 nuovi alloggi per i disabili; o la Germania, che ha attuato la nuova legge sulla parità di trattamento delle persone con disabilità, parallelamente alla precedente legislazione quadro. La fase del piano d'azione PAD (2004-2010) si è concentrata sulla creazione delle condizioni necessarie per promuovere una maggiore autonomia in settori quali l’accesso all'occupazione e mantenimento della stessa, l’apprendimento lungo tutto l'arco della vita, lo sfruttamento delle potenzialità delle nuove tecnologie e l’accessibilità alle infrastrutture pubbliche. 2000/78/CE richiede il cambiamento delle regole in vigore in alcuni Stati membri. I datori di lavoro – pubblici e privati – devono modificare le loro prassi occupazionali nei confronti delle persone con disabilità.  I principali programmi del Fondo sociale europeo e l'iniziativa comunitaria EQUAL finanziano un'ampia gamma di azioni volte all'integrazione delle persone con disabilità nel mercato del lavoro e sperimentano soluzioni innovative su aspetti specifici di tale integrazione. La Commissione europea si è inoltre impegnata nel contesto della politica di concorrenza, ricordando che nel novembre 2002 è stato adottato un regolamento concernente gli aiuti di Stato a favore dell'occupazione, che autorizza gli Stati membri a farsi carico sino al 60% del costo salariale e dei contributi sociali di un anno se un'impresa assume un lavoratore disabile. Inoltre, prevede la possibilità di concedere aiuti per compensare riduzioni della produttività o consentire l'adattamento degli ambienti. In merito  alla salute e alla sicurezza sul lavoro, la direttiva 89/654/CE, relativa alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro, dispone che questi devono essere strutturati tenendo conto, se del caso, di eventuali lavoratori diversamente abili. Di fondamentale utilizzo sono inoltre le nuove strategie tecnologiche, affinché tutti possano acquisire adeguate conoscenze per la loro crescita professionale. Per questa ragione la proposta della Commissione relativa a un programma di e-Learning fa un riferimento specifico alle esigenze delle persone con disabilità, analogamente al piano d'azione sull'apprendimento delle lingue e la diversità linguistica e a quello per le competenze e la mobilità. Gli sviluppi della tecnologia, in particolare nel settore delle TIC, offrono notevoli opportunità per consentire alle persone con disabilità di superare i limiti funzionali e di evitare così l'esclusione informatica.
La direttiva
Nell'ambito delle attività in tema di accessibilità, condotte nel contesto del piano d'azione e-Europe 2002, si sono raggiunti risultati positivi che occorre esaminare. Inoltre, a seguito dell'iniziativa W3C/WAI, gli Stati membri hanno adottato orientamenti sull'accessibilità ai siti web pubblici. Nel dicembre 2002 il Consiglio ha inoltre adottato una risoluzione sull'accessibilità informatica. I disabili non annullano il loro handicap attraverso la tecnologia, ma usare in completa autonomia un computer vuol dire poter svolgere una vita normale, sia a livello scolastico che lavorativo. Se si tratta di un bambino in età scolare, l’utilizzo degli strumenti informatici appare di notevole aiuto per il percorso di apprendimento. I bambini sono dotati di grande entusiasmo e voglia di fare nuove conoscenze, ed è stato proprio questa la chiave del valore “apprenditivo” specifico delle nuove tecnologie: esse sono attraenti, stuzzicano la curiosità, aumentano la motivazione e, quindi, l’attenzione e l’impegno del bambino, che lavora volentieri. In termini concreti, la multimedialità veicolata dal computer offre contemporaneamente immagine, scrittura, suono, voce e animazione e, per di più, la possibilità di interazione. Il computer non perde mai la pazienza, inoltre permette un feed-back informativo e motivazionale, senza dimenticare che, essendo utilizzato dalle persone cosiddette normodotate, non può non contribuire al consolidamento di una stima positiva. Il piano d'azione e-Europe 2005  ha mirato ad assicurare la partecipazione e la parità di accesso delle persone con disabilità e di altri gruppi svantaggiati ai significativi sviluppi nel settore dei servizi pubblici on-line, dell'amministrazione on-line (e-government), dell'apprendimento elettronico (e-learning) e dei servizi sanitari on-line (e-health), nonché a creare un ambiente dinamico e accessibile di e-business. Per garantire alle persone con disabilità un accesso migliore ed efficace al luogo di lavoro, occorre una diffusione della progettazione e della costruzione degli edifici conformi ai principi della progettazione universale (o "progettazione per tutti"). Infrastrutture culturali e del tempo libero accessibili sono indispensabili anche ai fini del miglioramento della qualità della vita delle persone con disabilità.  Il Consiglio lo ha riconosciuto nella risoluzione del 6 maggio 2003, riguardante l'accessibilità alle infrastrutture e alle attività culturali per le persone con disabilità, come pure nella risoluzione del 21 maggio 2002 sul futuro del turismo europeo, in cui la Commissione, gli Stati membri e gli altri soggetti, sono invitati a intensificare gli sforzi per migliorare l'accesso delle persone con disabilità ai siti turistici. Nel libro bianco riguardante "La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte", la Commissione promuove inoltre un maggiore utilizzo di trasporti pubblici accessibili. Tale programma comprende una serie di misure comunitarie da adottare relativamente a norme tecniche applicabili ai trasporti pubblici e alle infrastrutture collegate al trasporto. Di recente, la Commissione ha adottato una proposta direttiva relativa alle disposizioni speciali da applicare ai veicoli adibiti al trasporto passeggeri aventi più di otto posti a sedere (autobus e pullman). Il progetto di direttiva stabilisce prescrizioni tecniche in materia di accessibilità dei veicoli destinati al trasporto urbano, riconoscendo la necessità di estendere tale accessibilità ai veicoli di trasporto interurbano. L'Unione Europea rafforzerà la propria cooperazione con organizzazioni quali le Nazioni Unite, il Consiglio d'Europa, l' Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, le organizzazioni europee di normalizzazione, come il centro europeo di normalizzazione (CEN), l'Agenzia europea per gli studenti con bisogni speciali, la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, al fine di sviluppare relazioni reciprocamente utili e di condividere la loro esperienza e il lavoro dei loro gruppi di riflessione.
La Commissione propone di rafforzare la cooperazione con rappresentanti di associazioni delle persone con disabilità, in particolare con il forum europeo sulla disabilità. Essa promuove la cooperazione tra le istituzioni e gli organi dell'UE, in particolare con la commissione "occupazione e affari sociali" del Parlamento e con l'intergruppo "persone con disabilità". A tal proposito mi sembra doveroso indicare le normative recepite in Italia in  tale materia. L’Istat ha ricostruito in un volume un quadro completo sulle condizioni di salute, l’esperienza lavorativa, le relazioni familiari e, più in generale, il livello di partecipazione sociale delle persone con disabilità nel nostro Paese dopo il 2003. Sono state ripercorse le diverse fasi della vita dei disabili, dal periodo scolastico a quello della vecchiaia.             Benché vi siano stati evidenti i progressi che le politiche hanno introdotto in un’ottica di inclusione degli stessi, come la legge 104 del 1992, la legge 68 del 1999 in materia di inserimento lavorativo e la legge 328 del 2000 in tema di integrazione socio sanitaria.  Se questi interventi normativi pongono l’Italia all’avanguardia tra i Paesi europei in materia di politiche sulla disabilità, tuttavia permangono numerosi problemi, dovuti probabilmente alla lentezza delle amministrazioni nel recepimento delle norme e alla scarsità di risorse finanziarie a disposizione dei governi locali competenti in materia di disabilità. Politiche sull’inserimento scolastico e lavorativo non hanno ancora conseguito pienamente gli obiettivi prefissati, come testimoniano i dati sui livelli di istruzione delle persone con disabilità, sensibilmente più bassi rispetto al resto della popolazione, e sul numero di occupati che non sono ancora in linea con il resto del Paese.  I dati testimoniano che vi sono ambiti in cui la mancanza di autonomia costituisce un elemento di esclusione e marginalizzazione. È’ questo il caso delle attività sociali, in cui ha una certa rilevanza la limitazione fisica.  Un esempio è rappresentato dalle difficoltà legate ai trasporti pubblici, i dati raccolti testimoniano che vi sono ambiti in cui la mancanza di autonomia costituisce un elemento di esclusione e marginalizzazione. Negli ambiti che non coinvolgono fattori fisici o impedimenti legati all’età, le persone con disabilità svolgono attività di partecipazione molto soddisfacente.  L’integrazione  scolastica degli  alunni diversamente abili è un argomento delicato, in quanto è ben noto che la scuola deve conservare la sua prerogativa di palestra d’inclusione, di luogo preferenziale nel quale i bambini disabili devono essere accolti, sebbene taluni insegnanti ritengano che vi siano troppi disabili nelle scuole e, pertanto, auspichino il ritorno alla “Rupe Tarpea” (l’affermazione/auspicio è stata reperita su facebook, il social network più famoso dei nostri giorni). Come è noto, recentemente la Corte costituzionale, con sentenza n. 80/2010, ha stabilito che gli alunni con disabilità hanno sempre diritto all’insegnante di sostegno, ma non sempre per tutto l’orario scolastico. Infatti, la mancanza di fondi può giustificare una riduzione delle ore anche in caso di gravi portatori di handicap (sic!) e le ore di sostegno sono attribuite per un numero massimo stabilito di anno in anno. I Consigli di Circolo o di Istituto possono deliberare, fra i criteri di priorità per l’accettazione delle iscrizioni all’anno scolastico 2011-2012 (in base alla Circolare Ministeriale 4/10) che nelle prime classi non vi siano, ad esempio, più di due alunni con disabilità. In tal caso devono fissare i criteri di priorità nell’accettazione, qualora – appunto – le domande degli alunni con disabilità siano più di due per classe. Nonostante il proliferare di normative che, finalmente, si occupano seriamente delle problematiche afferenti la disabilità, a ben vedere il panorama scolastico italiano pare disattendere in larga parte lo spirito del legislatore comunitario!  Sta di fatto che non esiste la scuola d’inclusione, e che i bambini diversamente abili sono lasciati a loro stessi, soprattutto perché non vi sono fondi da destinare al pagamento di insegnanti di sostegno.
Esiste, dunque, la seria possibilità di ritornare alle classi speciali! Mi rivolgo ora a coloro i quali devono valutare questi ragazzi, inserendo un numero su un elaborato, li inviterei a quantificare la sofferenza dei  volti di questi ragazzi, spesso smarriti e senza speranza.  Ebbene, credo che avranno serie difficoltà a trovare nell’infinito mondo numerico quello giusto! Purtroppo il soggetto disabile, nella società contemporanea dominata da valori legati ai consumi, al mito del successo, alla cultura del corpo e dell’immagine, rappresenta ancora una presenza provocatoria e poco rassicurante, per cui spetta a noi attivare le strategie necessarie affinché esso si senta pienamente partecipe della/nella vita sociale. In particolare, l’assistente sociale che si occupa dei diversamente abili, ha il compito di aiutare il nucleo familiare a ricomporsi intorno al figlio disabile, utilizzando tutte le risorse disponibili e realizzando una rete di interventi con altre figure professionali e istituzionali alle quali la famiglia possa rivolgersi nei momenti difficili e attivarsi costruttivamente per il benessere del proprio figlio. L’assistente sociale ha il compito, tra gli altri, di orientare le famiglie verso i trattamenti economici assistenziali  specificamente previsti dal nostro ordinamento giuridico. In tale ambito, riveste particolare importanza l’indennità di frequenza espressamente sancita e istituita dalla  legge   11 ottobre  1990 n. 289. Il lettore mi consentirà un passo indietro rispetto al 2003, ma dopo l’approvazione, da parte della Commissione Istituzione del Senato del Disegno di legge dell’otto ottobre (l 170\2010) recante “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”, mi sembrava opportuno dare indicazioni precise circa le modalità per  beneficiare – almeno in parte – di tale indennità.
Cominciamo dal principio . . .
Tale legge trova applicazione nei confronti di coloro i quali hanno una difficoltà persistente a svolgere i compiti e le funzioni della propria età, e la concessione dell’indennità è subordinata alla frequenza continua (anche se periodica) di centri ambulatoriali o di centri diurni, anche di tipo semiresidenziale, pubblici o privati specializzati nel recupero di persone portatrici di handicap (art. 1). Per ottenere l’indennità di frequenza, è necessario che rappresentante legale  del minore presenti una domanda alla commissione medica periferica per le pensioni di guerra e di invalidità civile competente per territorio. E’ necessario allegarvi l’apposita documentazione che attesti l’iscrizione o l’eventuale frequenza del minore a trattamenti terapeutici o riabilitativi, a corsi scolastici o a centri di formazione o di addestramento professionale. L’indennità mensile di frequenza è concessa dal comitato provinciale di assistenza e beneficenza pubblica, previa acquisizione della certificazione di frequenza (contenente la precisa indicazione della durata del trattamento terapeutico o riabilitativo o del corso scolastico o di quello di formazione o di addestramento professionale), ed è limitata nel tempo, essendo commisurata alla reale durata del trattamento o del corso (ossia decorre dal mese successivo a quello di effettivo inizio della frequenza e termina col mese successivo alla cessazione della frequenza). L’importo dell’indennità è rivalutata ogni anno, è concessa a persone che percepiscono un reddito annuale non superiore a € 4.238,26 (id est € 246,73 al mese) ed è incompatibile con le altre forme di sostegno economico (come, ad esempio, l’indennità di accompagnamento, l’indennità speciale per i ciechi parziali, ecc.). Ottenuta la risposta positiva dell’indennità di frequenza, il beneficiario può richiedere all’Inps un ulteriore aumento degli assegni familiari.  Da quanto detto si desume che i requisiti economici richiesti per la concessione dell’istituto ne restringono eccessivamente l’ambito di applicazione, tanto da compromettere irrimediabilmente la  finalità perseguita. E’ necessario comunque  a mio avviso effettuare la  richiesta,  affinchè nulla resti intentato.  Al di là delle (buone) intenzioni dichiarate, è necessario fare di più, e che  tutti noi ci attiviamo alacremente per sostenere queste famiglie.
Antonella D’Ambrosio

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