A.A.A. - D.S.A. - Dislessia, un limite da superare

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mercoledì 30 marzo 2011

Invalsi, scoppia la bufera

Le prove sbarcano per la prima volta alle superiori, ma non mancano le polemiche

Debutto con polemica per l’Invalsi. Da maggio, le prove di italiano e matematica messe a punto dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione verranno affrontate per la prima volta dalle scuole superiori, come già succede da due anni nella scuola primaria e alle medie. L’obiettivo dei test è valutare l’apprendimento in italiano e matematica degli studenti della seconda e quinta classe della scuola primaria, della prima e terza classe della scuola secondaria di primo grado e, da quest’anno, della seconda classe della scuola secondaria superiore. Ma sulla questione cala il “giallo”. I Cobas si stanno mobilitando sulla questione spiegando che “non è scritto da nessuna parte che i docenti siano tenuti obbligatoriamente a somministrare le prove e a collaborare all’eventuale organizzazione delle stesse: il contratto nazionale di lavoro non prevede alcun obbligo di questo tipo per gli insegnanti, né tra gli obblighi di servizio, né nella funzione docente”.
Ogni insegnante ha facoltà, nelle proprie ore di lezione, di decidere quali attività debbano essere svolte,
visto che – secondo l’ articolo 7, comma 2, del testo unico sulla scuola – l’impostazione della didattica e dei criteri di valutazione è nell’esclusiva competenza del collegio dei docenti. “Se ne deduce che il dirigente scolastico non ha alcuna facoltà o potere di aderire autonomamente alle prove Invalsi – spiegano dai Cobas – poiché tale decisione sarebbe illegittima, secondo la normativa vigente e, tanto più è illegittima se il collegio dei docenti delibera la non adesione”.
Eppure sul web stanno circolando le affermazioni dell’avvocato dello Stato Laura Paolucci, secondo cui le prove sono obbligatorie per le scuole e il collegio dei docenti non ha nessun potere di deliberare in merito. Addirittura, scrive l’avvocato, l’Invalsi (www.invalsi.it) potrebbe “scavalcare” completamente le istituzioni scolastiche, decidendo di somministrare le prove in un “luogo” diverso dalle sedi e dai plessi scolastici. In questo tira e molla, i collegi docenti di alcuni istituti hanno già deliberato che non effettueranno le prove ministeriali, come i licei De Chirico e Malpighi di Roma, l’istituto Almeyda di Palermo e il Da Vinci di Firenze. Ma perché tutto questo polverone?
Test inefficaci. “Sin dall’inizio, le prove Invalsi sono state accompagnate da numerose polemiche – commenta Maristella Curreli, presidente nazionale dei Cip (Comitati insegnanti precari) – Trattandosi di test nazionali, e dunque uguali per tutti, non tengono conto delle programmazioni personalizzate, che rispettano i tempi e le attitudini dei bambini”. Gli stessi Cobas ricordano come la bravura di un insegnante si “misuri” nella sua capacità di appassionare gli alunni alla materia, coinvolgendoli, motivandoli allo studio e tenendo conto dei ritmi individuali. Al contrario, le prove Invalsi sono pensate per risposte in velocità e vanno al contrario rispetto alle raccomandazioni degli insegnanti di non avere fretta nelle risposte e di riflettere bene. Un esempio chiarificatore, a parere di Curreli, sono gli alunni dislessici, per i quali non è prevista una prova alternativa rispetto ai compagni che tenga conto delle loro difficoltà. Mentre la decisione di far partecipare gli alunni disabili alle prove è rimessa alla scuola e in ogni caso i risultati devono essere elaborati in maniera a sé stante, chi è dislessico non riceve sconti e viene sottoposto al medesimo stress.
“Su queste basi – riprende Curreli – le prove Invalsi non servono a valutare gli alunni, per ciascuno dei quali i docenti stabiliscono un livello di preparazione personalizzato, per non parlare delle differenze tra le singole scuole, i contesti in cui operano e via discorrendo”. E per chi contesta, dicendo che le anche prove di maturità sono stabilite a livello nazionale e indifferenziato? “Anche in quelle occasioni sorgono numerose polemiche – riferisce Curreli – La libertà di insegnamento prevede che in alcune realtà si possa scegliere un determinato programma anziché un altro, tenendo conto delle attitudini della classe. Non si può pretendere lo stesso livello di preparazione da tutti gli alunni, per alcuni si può puntare a un potenziamento, per altri bisogna avviare un recupero. I tempi vanno rispettati”.
Il rischio è anche un altro, cioè che le ore di buona didattica vengano sostituite dagli allenamenti ai quiz: “Questo accade perché i docenti sanno bene che saranno loro ad essere valutati – spiegano dai Cobas – e dunque, per non ‘fare brutta figura’ modellano la loro programmazione in modo da addestrare il più possibile la loro classe alla modalità a quiz. Così, ad esempio, crescono le prove a crocette, stanno tornando in auge le nomenclature grammaticali imparate a memoria come fino agli anni Sessanta”. Nessuno ha paura di sottoporsi a un test, conclude Curreli, che alla fine misura non tanto la preparazione degli alunni, ma le scuole nel loro complesso. “L’importante è studiarlo nella maniera corretta, che sia utile allo scopo e rispettoso degli alunni”.
Paola Rinaldi

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