Ieri è stato lunedì 18 aprile, e nessuno s’è ricordato del 18 Aprile. Neanche fra i nostri dieci lettori, credo. Perciò glielo ricordiamo noi, non per commemorare, ma per ragionare sull’oggi, sull’emergenza democratica.
Così simile, cambiati il secolo e i protagonisti, a quella vissuta alla vigilia del 18 Aprile 1948. Da ridere quel richiamo fatto ieri da Berlusconi. Anzi, vergognoso ricordare da parte sua «il popolo dei liberi e forti»: nell’epoca di Minetti-Fede-Mora, poi... La libertà è e resta ben altra cosa, rispetto alla satrapia arcoriana, e quindi giù le mani.
Piuttosto inviterei a rileggere il breve editoriale pubblicato sempre ieri dal Corriere della Sera sul 25 Aprile p.v. Che cade di lunedì pasquetta, per cui tutti al mare e fuori porta, fettuccine e vino dei Castelli, e scarse manifestazioni celebrative. L’autore del rammarico, David Bidussa, è convinto che «nessun gruppo umano esiste senza riti collettivi»; e che «liberarsi dal passato» equivale «non a emanciparsi, ma a perdersi, ovvero a non darsi futuro». Nel nostro calendario civico ci sono solo feste religiose (Natale e Pasqua) o pagane (Ferragosto) o senza fiamma che riscaldi il cuore (2 giugno). Siamo ancora una nazione? «Forse – risponde Bidussa – più modestamente siamo un paese, unito dal mangiare, dal bere, dal gioco, dai santi e dalle ferie. Sufficiente per dire che abbiamo un futuro?».
Sufficiente per dire che abbiamo un futuro democratico? L’aggiunta mi viene suggerita dal mancato ricordo del 18 Aprile, nel frangente più grave dell’offensiva berlusconiana contro la democrazia, contro la Costituzione del ’48 e la sua convalida popolare di cento giorni dopo, appunto il 18 aprile. Nel ventennio berlusconiano-leghista – s’è sentito in un intervento al recente convegno Pd di Amelia – la mutazione antropologica degli italiani che votano a destra s’è completata. Il collante del Pdl è l’individualismo proprietario, il collante della Lega l’individualismo territoriale, che è anche proprietario dei luoghi più ancora che dei beni materiali.
Su questa base poggia una coalizione di governo che consente oggi a Berlusconi, quasi vinta la battaglia per salvarsi dai suoi presunti reati e dalle sue non presunte immondizie, che fanno godere ruffiani e gentildonne, di annunciare coi suoi accenti rock la “seconda fase” (Rodotà su Repubblica) della sua lotta contro la democrazia e lo stato di diritto. E cioè lo smantellamento della Costituzione, tutta da rifare, dal presidente della repubblica alle corti di garanzia, dal parlamento al capo del governo, dalla magistratura indipendente al libero insegnamento scolastico, dal lavoro dei cittadini alla laicità dello stato. Se questa “seconda fase” venisse portata avanti per un tratto, le prossime elezioni politiche del 2013, che cominciano tra un mese a Milano, acquisterebbero lo stesso valore di quelle del 18 aprile 1948: o vinciamo noi, e si salvano la Costituzione e la democrazia, o vincono loro, e si apre la via a Salazar, il professore che incarnò il fascismo religioso-corporativo-colonialista per decenni, prima che la rivoluzione dei garofani ne rovesciasse la dittatura.
Il 18 aprile 1948, quando in Europa c’era la cortina di ferro e la scelta era nel restare al di qua o nel trasferirsi al di là, i nostri padri ebbero due sole armi per restare di qua, la loro Costituzione in fasce e il voto. Oggi per restare di qua con la Costituzione adulta, le armi che abbiamo sono l’ostruzionismo parlamentare sperimentato contro la prescrizione brevissima; e la nostra volontà di tornare a combattere dopo anni di dislessia muscolare dei partiti e dei singoli, tutti stancamente impegnati a scopiazzare l’individualismo proprietario dei vincitori e cercarvi una vita materiale meno precaria. Perciò vorrei ricordare il 18 Aprile; e ricordarlo soprattutto ai cattolici, eternamente costretti a riconquistare il senso dello stato, e intanto divisi non solo sul film di Moretti ma sul partito “unico” dei cattolici e sul mercimonio tra un voto a Berlusconi contro la Costituzione in cambio di soldi per le scuole private e del divieto di libera determinazione sui trattamenti di fine vita. Rileggo, nelle conclusioni del mio libro 18 Aprile così ci salvammo, che De Mita volle pubblicare con le Edizioni Cinque Lune, che quel giorno ci fu vittoria piena anche perché vinse il partito liberaldemocratico di De Gasperi e non quello “sociale” (?) di Dossetti. Cioè vinse la cultura dello stato, che già aveva unificato le forze nella Costituente, e non un afflato populista nobile ma indeterminato.
Oggi le forze della Costituente sono tutte nell’opposizione. Il loro dovere è aprire la battaglia nel paese, senza aspettare le battute di Berlusconi a cui rispondere come tennisti affannati.
Così simile, cambiati il secolo e i protagonisti, a quella vissuta alla vigilia del 18 Aprile 1948. Da ridere quel richiamo fatto ieri da Berlusconi. Anzi, vergognoso ricordare da parte sua «il popolo dei liberi e forti»: nell’epoca di Minetti-Fede-Mora, poi... La libertà è e resta ben altra cosa, rispetto alla satrapia arcoriana, e quindi giù le mani.
Piuttosto inviterei a rileggere il breve editoriale pubblicato sempre ieri dal Corriere della Sera sul 25 Aprile p.v. Che cade di lunedì pasquetta, per cui tutti al mare e fuori porta, fettuccine e vino dei Castelli, e scarse manifestazioni celebrative. L’autore del rammarico, David Bidussa, è convinto che «nessun gruppo umano esiste senza riti collettivi»; e che «liberarsi dal passato» equivale «non a emanciparsi, ma a perdersi, ovvero a non darsi futuro». Nel nostro calendario civico ci sono solo feste religiose (Natale e Pasqua) o pagane (Ferragosto) o senza fiamma che riscaldi il cuore (2 giugno). Siamo ancora una nazione? «Forse – risponde Bidussa – più modestamente siamo un paese, unito dal mangiare, dal bere, dal gioco, dai santi e dalle ferie. Sufficiente per dire che abbiamo un futuro?».
Sufficiente per dire che abbiamo un futuro democratico? L’aggiunta mi viene suggerita dal mancato ricordo del 18 Aprile, nel frangente più grave dell’offensiva berlusconiana contro la democrazia, contro la Costituzione del ’48 e la sua convalida popolare di cento giorni dopo, appunto il 18 aprile. Nel ventennio berlusconiano-leghista – s’è sentito in un intervento al recente convegno Pd di Amelia – la mutazione antropologica degli italiani che votano a destra s’è completata. Il collante del Pdl è l’individualismo proprietario, il collante della Lega l’individualismo territoriale, che è anche proprietario dei luoghi più ancora che dei beni materiali.
Su questa base poggia una coalizione di governo che consente oggi a Berlusconi, quasi vinta la battaglia per salvarsi dai suoi presunti reati e dalle sue non presunte immondizie, che fanno godere ruffiani e gentildonne, di annunciare coi suoi accenti rock la “seconda fase” (Rodotà su Repubblica) della sua lotta contro la democrazia e lo stato di diritto. E cioè lo smantellamento della Costituzione, tutta da rifare, dal presidente della repubblica alle corti di garanzia, dal parlamento al capo del governo, dalla magistratura indipendente al libero insegnamento scolastico, dal lavoro dei cittadini alla laicità dello stato. Se questa “seconda fase” venisse portata avanti per un tratto, le prossime elezioni politiche del 2013, che cominciano tra un mese a Milano, acquisterebbero lo stesso valore di quelle del 18 aprile 1948: o vinciamo noi, e si salvano la Costituzione e la democrazia, o vincono loro, e si apre la via a Salazar, il professore che incarnò il fascismo religioso-corporativo-colonialista per decenni, prima che la rivoluzione dei garofani ne rovesciasse la dittatura.
Il 18 aprile 1948, quando in Europa c’era la cortina di ferro e la scelta era nel restare al di qua o nel trasferirsi al di là, i nostri padri ebbero due sole armi per restare di qua, la loro Costituzione in fasce e il voto. Oggi per restare di qua con la Costituzione adulta, le armi che abbiamo sono l’ostruzionismo parlamentare sperimentato contro la prescrizione brevissima; e la nostra volontà di tornare a combattere dopo anni di dislessia muscolare dei partiti e dei singoli, tutti stancamente impegnati a scopiazzare l’individualismo proprietario dei vincitori e cercarvi una vita materiale meno precaria. Perciò vorrei ricordare il 18 Aprile; e ricordarlo soprattutto ai cattolici, eternamente costretti a riconquistare il senso dello stato, e intanto divisi non solo sul film di Moretti ma sul partito “unico” dei cattolici e sul mercimonio tra un voto a Berlusconi contro la Costituzione in cambio di soldi per le scuole private e del divieto di libera determinazione sui trattamenti di fine vita. Rileggo, nelle conclusioni del mio libro 18 Aprile così ci salvammo, che De Mita volle pubblicare con le Edizioni Cinque Lune, che quel giorno ci fu vittoria piena anche perché vinse il partito liberaldemocratico di De Gasperi e non quello “sociale” (?) di Dossetti. Cioè vinse la cultura dello stato, che già aveva unificato le forze nella Costituente, e non un afflato populista nobile ma indeterminato.
Oggi le forze della Costituente sono tutte nell’opposizione. Il loro dovere è aprire la battaglia nel paese, senza aspettare le battute di Berlusconi a cui rispondere come tennisti affannati.
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