Secondo le ultime indagini condotte da Giacomo Stella (luglio 2011), docente di Psicologia clinica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, è emerso che in Italia i dislessici in età scolare, ovvero dai 6 ai 18 anni, sono circa 350 mila e corrispondono al 4-5 % della popolazione scolastica globale. Un dato sul quale conviene riflettere seriamente. La dislessia, infatti, è una difficoltà di apprendimento che spesso viene confusa con lo scarso impegno mostrato dall’allievo e, quindi, non sempre identificata in modo tempestivo. Di solito si protrae per tutto il ciclo formativo della scuola, rendendo quest’ultimo molto problematico per gli studenti e i loro genitori. Nonostante tale condizione di rischio, all’incirca un terzo dei dislessici, a quanto sostiene Stella, può maturare la possibilità di superare questa difficoltà.
Ci chiediamo, a questo punto, in che modo. O meglio, come si può intervenire? In quale momento della crescita? E gli insegnanti, i genitori e gli esperti: qual è il loro ruolo in questo processo?«Se alla fine del secondo anno di scuola la lettura non è ancora fluente, occorre valutare quali sono le difficoltà del bambino e il livello di compromissione con cui emergono», puntualizza Daniela Traficante, ricercatore in Psicologia dello Sviluppo presso l’Università Cattolica di Milano. «Una diagnosi precoce e la creazione di una rete tra famiglia, scuola e specialisti, a sostegno dell’autostima e della motivazione all’apprendimento, sono essenziali per evitare che la dislessia si traduca in una dolorosa esperienza di inadeguatezza di fronte allo studio e incida negativamente sul benessere psicologico del bambino», conclude l’esperta. Non resta che attivarsi, quindi, assecondando quanto gli studiosi suggeriscono ormai da mesi.
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