Tratto da La Repubblica del 14.5.2011
La scelta di non far fare ai propri bambini la prova Invalsi allarga il dibattito al vero ruolo degli istituti pubblici
Siamo genitori che si sono rifiutati di far fare ai propri figli, in seconda elementare, i test Invalsi. Non avevamo altra scelta che tenerli a casa e lo abbiamo fatto pensando che anche questa fosse una seconda ingiustizia ai danni dei nostri bambini che avrebbero avuto diritto a un giorno di scuola. Sia chiaro, siamo i primi ad essere interessati alla valutazione della scuola.
Il principio è giusto e lo difendiamo. Ma il metodo lo riteniamo sbagliato, soprattutto perché culturalmente figlio di una “didattica a crocette”, all’opposto di quello che le nostre maestre fanno ogni giorno in classe, di una didattica calata dall’alto e uguale per tutti, che non riconosce che ogni bimbo e bimba ha tempi, stili cognitivi, esigenze di contesto diversi per poter rendere il meglio. I test Invalsi non valutano quanto il gruppo classe sia migliorato nella collaborazione e nella capacità di lavorare insieme, quanta attenzione venga data ad ogni bambino, quante esperienze vengano proposte agli alunni. I test Invalsi sono invece imposti, slegati dalla programmazione e contro lo stesso parere di molti insegnanti, da esperti che mai hanno visto in faccia i nostri bambini. Curioso, per una valutazione di sistema si parte dai singoli e alla fine gli unici a dover fare dei test sono i bambini per valutare un mondo di adulti (insegnanti, presidi, dirigenti, funzionari e ministri all’istruzione).
Non sono nemmeno chiare le finalità di queste prove e se fossero, come confermato da sperimentazioni ministeriali, per dare fondi differenziati agli istituti sarebbe ancora più grave: e la scuola che accoglie disabili, stranieri, bambini in difficoltà – i nostri figli – come verrebbe valutata? A nostro avviso di soldi, questa scuola, dovrebbe averne di più. Ma il test Invalsi questo non lo misura. Siamo contrari perché vediamo nell’Invalsi una cultura che premia il merito di chi già merita, un’idea di scuola-ospedale dove gli esperti curano i sani, non una comunità che cresce insieme, anche con i genitori primi responsabili dell’educazione dei figli.
Noi crediamo in una scuola pubblica statale dove in modo democratico si fanno crescere tutti, ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno dando possibilità. Una scuola che deve essere valutata, senza difese corporative, non per accrescere le "competenze di alunni clienti" da allevare alla competizione, ma per costruire al meglio legami sociali, elaborare la partecipazione di tutti alla vita. Non siamo al passo con l’Europa? Il problema è che test di questo tipo in altri Paesi non sono che uno strumento all’interno di un sistema di istruzione diverso, soprattutto più finanziato, anche nella formazione degli insegnanti. Quest’anno verrà tolto un maestro dall’organico della nostra scuola e non avremo più il tempo pieno causa tagli. E così in molte altre scuole. Ma il test c’è! Per questo diciamo, con un piccolo gesto di disobbedienza civile: no grazie. La scuola che vogliamo è un’altra, basta rileggersi don Milani.
FIRMATARI
Marta Nicotra, Francesco Senni, AnnaMaria Angradi, Annamaria Costanzo, Renato Brandimarti, Marianna Allegri, Tecla Marcozzi
La scelta di non far fare ai propri bambini la prova Invalsi allarga il dibattito al vero ruolo degli istituti pubblici
Siamo genitori che si sono rifiutati di far fare ai propri figli, in seconda elementare, i test Invalsi. Non avevamo altra scelta che tenerli a casa e lo abbiamo fatto pensando che anche questa fosse una seconda ingiustizia ai danni dei nostri bambini che avrebbero avuto diritto a un giorno di scuola. Sia chiaro, siamo i primi ad essere interessati alla valutazione della scuola.
Il principio è giusto e lo difendiamo. Ma il metodo lo riteniamo sbagliato, soprattutto perché culturalmente figlio di una “didattica a crocette”, all’opposto di quello che le nostre maestre fanno ogni giorno in classe, di una didattica calata dall’alto e uguale per tutti, che non riconosce che ogni bimbo e bimba ha tempi, stili cognitivi, esigenze di contesto diversi per poter rendere il meglio. I test Invalsi non valutano quanto il gruppo classe sia migliorato nella collaborazione e nella capacità di lavorare insieme, quanta attenzione venga data ad ogni bambino, quante esperienze vengano proposte agli alunni. I test Invalsi sono invece imposti, slegati dalla programmazione e contro lo stesso parere di molti insegnanti, da esperti che mai hanno visto in faccia i nostri bambini. Curioso, per una valutazione di sistema si parte dai singoli e alla fine gli unici a dover fare dei test sono i bambini per valutare un mondo di adulti (insegnanti, presidi, dirigenti, funzionari e ministri all’istruzione).
Non sono nemmeno chiare le finalità di queste prove e se fossero, come confermato da sperimentazioni ministeriali, per dare fondi differenziati agli istituti sarebbe ancora più grave: e la scuola che accoglie disabili, stranieri, bambini in difficoltà – i nostri figli – come verrebbe valutata? A nostro avviso di soldi, questa scuola, dovrebbe averne di più. Ma il test Invalsi questo non lo misura. Siamo contrari perché vediamo nell’Invalsi una cultura che premia il merito di chi già merita, un’idea di scuola-ospedale dove gli esperti curano i sani, non una comunità che cresce insieme, anche con i genitori primi responsabili dell’educazione dei figli.
Noi crediamo in una scuola pubblica statale dove in modo democratico si fanno crescere tutti, ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno dando possibilità. Una scuola che deve essere valutata, senza difese corporative, non per accrescere le "competenze di alunni clienti" da allevare alla competizione, ma per costruire al meglio legami sociali, elaborare la partecipazione di tutti alla vita. Non siamo al passo con l’Europa? Il problema è che test di questo tipo in altri Paesi non sono che uno strumento all’interno di un sistema di istruzione diverso, soprattutto più finanziato, anche nella formazione degli insegnanti. Quest’anno verrà tolto un maestro dall’organico della nostra scuola e non avremo più il tempo pieno causa tagli. E così in molte altre scuole. Ma il test c’è! Per questo diciamo, con un piccolo gesto di disobbedienza civile: no grazie. La scuola che vogliamo è un’altra, basta rileggersi don Milani.
FIRMATARI
Marta Nicotra, Francesco Senni, AnnaMaria Angradi, Annamaria Costanzo, Renato Brandimarti, Marianna Allegri, Tecla Marcozzi
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