Intervista ad Arianna Pinton, autrice del libro che parla delle difficoltà, dei servizi e delle opportunità per bambini, genitori ed insegnanti che si trovano a dover affrontare la dislessia. Tanti consigli pratici da chi sta vivendo il problema in prima persona.
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a dislessia: una frustrazione continua per chi ne soffre, un problema che spesso non si è preparati ad affrontare per gli insegnanti, una sofferenza per i genitori che scondividono con il proprio figlio un forte senso di inadeguatezza. Ne abbiamo parlato con Arianna Pinton autrice del libro “Mio figlio è dislessico”
Chi se ne può accorgere e come?
L'ideale è che se ne accorgano gli insegnanti della scuola primaria notando ad esempio la grossa discrepanza tra il modo di fare di un bambino e il riscontro dato dai voti scolastici. Un segnale è ad esempio la difficoltà nell'automatizzare gli esercizi fatti in classe. E' molto importante accorgersene presto perché a 10 anni si chiude la “finestra di azione” cioè il periodo in cui si può intervenire in modo veramente efficace insegnando al bambino delle strategie. E' una corsa contro il tempo dove è necessario tener conto che ci sono liste d'attesa molto lunghe a causa della carenza di logopedisti e che la terapia dura almeno un anno e mezzo al ritmo di due incontri settimanali, solitamente.
Quali servizi esistono a Monza per genitori e insegnanti?
In Brianza la situazione è difficile se non impossibile. Esiste uno centro CTRH con sede vicino alla Villa Reale che ha iniziato da poco ad occuparsi di dislessia, organizzando dei corsi per gli insegnanti. A Vimercate, poi, c'è uno sportello informativo dell'associazione italiana dislessia. Nel nostro territorio restano comunque delle grosse carenze informative, si spiega in cosa consiste il problema ma poi manca il livello successivo, quello pratico, per indicare agli insegnanti e ai genitori come agire nel quotidiano.
Con il mio libro ho cercato di colmare questo vuoto. Ad esempio nessuno spiega agli insegnanti come “adattare” ad alunni dislessici le schede delle verifiche, meglio se in stampatello e magari lette ad alta voce prima di iniziare. Nessuno spiega ai genitori che la lezione per il giorno dopo la dovranno leggere loro al proprio figlio e che 3 ore continuative di studio risultano insostenibili per un bambino con delle difficoltà, meglio spezzare ogni mezzora con un momento di relax o di gioco.
Quale riscontro hanno le iniziative esistenti sul territorio?
La risposta è stata più che positiva se guardiamo la scuola primaria, le insegnanti della secondaria e delle scuole superiori, invece, sembra non considerino minimamente il problema, come se questo si risolvesse prima dei 10 anni. Invece si tratta di un problema neurologico, esattamente come il daltonismo, e di cui si dovrebbe tener conto sempre.
Realtà virtuose da cui Monza può prendere esempio?
L'Emilia Romagna. Lì tutti i bambini all'ultimo anno di asilo vengono sottoposti al test per individuare la dislessia, la diagnosi precoce permette di inserire nei programmi ad hoc i bambini che ne hanno la necessità senza attendere anni. Questo è un ottimo metodo per non rincorrere sempre il problema. Ho chiesto diverse volte e a molte istituzioni di fare un'iniziativa analoga qui a Monza, mi è sempre stato risposto che mancano i fondi....Ma si tratta di un test cartaceo veloce, non mi sembra una operazione costosa.
E' un problema italiano secondo lei?
L'Italia è sicuramente molto indietro rispetto a tutti i paesi anglosassoni e a molti europei, è da soli 10 anni che studiamo questo problema contro i 40 anni degli altri paesi. In Francia tutti gli insegnati hanno obbligatoriamente nel proprio programma di studi per 3 anni una materia riguardante i metodi di insegnamento per alunni dislessici, in Italia non è quasi neanche contemplato, solo pochi volonterosi se ne interessano.
E a livello legislativo?
Da poco esiste una legge che regola l'insegnamento ai dislessici ma è caotica, nebulosa e piena di incognite. Le zone grige della norma esistente consentono a molti insegnanti di fregarsene e solo pochi con un po' di buon senso cercano di venire incontro a quei soggetti con problemi di dislessia che in Italia costituiscono il 4% della popolazione scolastica.
La dislessia può influenzare il carattere o la socialità di un bambino?
Non la dislessia in sé, ma come il problema viene affrontato sì. Quando scuola e famiglia non sono consapevoli e si dimostrano disattenti o disinteressati al problema il bambino rischia di subire un calo di autostima: fa più sforzi e ha meno risultati dei suoi coetanei...così crolla. Sono molti i casi di bullismo che nascono da problematiche come la dislessia, se trascurate, infatti un bambino può reagire a questo disagio con la violenza. In altri casi si chiude in sé stesso o diventa il buffone della classe.
Luoghi comuni da sfatare?
Il primo è per le insegnanti delle scuole superiori: la dislessia non passa dopo le elementari, è una problematica da trattare e di cui tener conto durante tutto il percorso scolastico. Il secondo è per il mondo del lavoro e per i genitori: va sfatata la credenza che un dislessico ha futuro solo in attività manuali, ci sono esempi di dislessici premi Nobel in fisica, economia e medicina. La dislessia non riguarda il QI, anzi, solitamente i soggetti che ne soffrono hanno punteggi medio-alti.
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