A.A.A. - D.S.A. - Dislessia, un limite da superare

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mercoledì 27 febbraio 2013

DSA e scuola: quale futuro?

Siamo in un momento di forte cambiamento, le dinamiche educative stanno evolvendo verso forme nuove e pluralistiche, la multidisciplinarità inizia ad assumere ruoli dominanti, la diversità diventa il principio di ogni processo formativo. Di fronte a un mondo che corre velocemente verso nuovi approcci e nuove esigenze, la scuola - diciamolo senza vergogna - comincia ad annaspare. Non è colpa sua, né del Governo, né delle istituzioni. Non serve a nulla cercare il punto debole di un sistema che, da solo, non sussiste più. Bisogna partire da qui.
Ricominciare. Ma sopratutto "rinnovare". Lo scorso 8-9 febbraio si è svolto a Firenze un importante convegno dal titolo "In classe ho un bambino che..." organizzato dalla Giunti (casa editrice leader nel settore scuola ed educazione), in particolare dalla rivista "Psicologia e scuola", un punto di riferimento fondamentale in questo periodo di novità. Il giornale, infatti, tenta di avvicinare quanto più possibile gli insegnanti agli studi accademici che hanno come oggetto la scuola e i processi psicologici. Per farlo cerca di semplificare e mettere alla loro portata anni e anni di ricerche universitarie in questa direzione.

Il meeting nazionale svoltosi presso il Palazzo dei Congressi fiorentino è partito proprio da questo presupposto: registrando circa 1000 presenze, sopratutto insegnanti di scuola primaria e secondaria di primo grado, ha chiamato i maggiori esperti italiani e stranieri del settore. Un'occasione di confronto unica. Durante le sessioni di due giorni si sono formati diversi simposi che hanno affrontato le tematiche più varie. Due gli argomenti più rilevanti, che hanno riscontrato maggiore attenzione: i nativi digitali e i DSA. Per quanto le due definizioni sembrano appartenere a due categorie differenti, in fondo, si parla della stessa cosa. In questo senso ci piace ricordare l'esempio portato al convegno da Raffaele Ciambrone del MIUR, il quale ponendosi nei panni di un insegnante descriveva una classe tipo, eterogenea, multiculturale, con variegate provenienze sociali ed economiche. Insomma un gruppo di studenti con Bisogni Educatici Specifici (BES) diversi. Dopo la prima rivoluzione avviata dalla legge 170/2010, che per la prima volta dava pieno riconoscimento ai DSA e stabiliva precise linee guida per insegnanti e genitori, un’ulteriore riforma viene messa in atto dalla nuovissima Direttiva del 27 dicembre 2012, in cui viene sancito che non solo gli studenti con difficoltà di apprendimento, ma tutti i ragazzi in una situazione di "emergenza" hanno bisogno di un Piano Educativo Individualizzato. In questa direttiva, quindi, vengono compresi i disturbi del linguaggio, il deficit di attenzione e iperattività (ADHD), le difficoltà linguistiche dovute al l'appartenenza a una famiglia straniera o a un ambiente sociale carente; ancora, insegnanti e

dirigente scolastico devono tener conto anche di quei casi di ragazzi e ragazze che si trovano in una condizione precaria dopo aver subito un trauma o un lutto.

È chiaro che questo nuovo panorama normativo pone quesiti, dubbi, timori. È evidente che molti insegnanti e dirigenti si sentono smarriti, investiti di una responsabilità ancora più grande come quella di decidere chi ha bisogno di maggiore sostegno in classe. Il dibattito relativo ai nativi digitali, però, potrebbe dare una risposta. Abbiamo parlato di cambiamento. Ma la scuola è pronta per accettare che è in atto (o addirittura si è concluso) un cambiamento radicale anche negli stili di apprendimento e di insegnamento? E non si tratta solo dei soggetti con DSA, che - gli studiosi insegnano (Cesare Cornoldi, Giacomo Stella, Patrizio Tressoldi) - non è un deficit cognitivo, ma solo un diverso modo di assumere le conoscenze. Bene: anche i nativi digitali ormai non apprendono più come i loro genitori (definiti "emigrati digitali"). È un dato di fatto. Se non si accetta e non si decide di partire da qui la scuola resterà lontana anni luce dai suoi studenti e non riuscirà più a trasmettere loro niente. Perché dare solo agli studenti con BES gli strumenti e le strategie utili per affrontare la scuola? Perché dotare solo loro di un efficace metodo di studio? Perché non usare con tutti nuovi “attrezzi da lavoro” avvalendosi delle nuove tecnologie? Giovani e adulti le usano già in ogni momento della loro vita. Perché non dovrebbe essere così anche a scuola? Molti temono che in questo modo il cartaceo, la penna, il libro perdano di importanza o, peggio ancora, vengano completamente sostituiti. Invece lo scopo sarebbe quello di affiancare a questi strumenti, che continuano ad avere un valore educativo e culturale enorme, anche altri più "moderni". Significa fare un bel salto verso il futuro. Significa prendere atto dell'oggi. A qualcuno fa paura. Altri sono scettici e sospettosi. Gli unici che potrebbero farlo naturalmente, senza timore e senza perplessità sono proprio i ragazzi. Ma la scuola non dovrebbe essere costruita a misura per loro?


di Mariagiovanna GrifiMariagiovanna Grifi

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